Un errore di valutazione

Grandi partiti piccolo Paese

L’ipotesi che il governo possa cadere è molto seria e deve essere presa in considerazione perché i segnali di uno scollamento della maggioranza sono oramai costanti e si ripetono da tempo. Nell’interesse del Paese una crisi politica in questa fase della legislatura sarebbe traumatica, Renzi è subentrato ad un governo raccogliticcio ed in difficoltà, mostrando un grande slancio. Il premier gode ancora del consenso di molti ambienti della società italiana, dovesse lasciare Palazzo Chigi vi sarebbero conseguenze gravi, anche perché, non essendovi una sfiducia costruttiva, la crisi sarebbe al buio e con una possibilità concreta di elezioni anticipate. Non osiamo pensare a cosa possa venirne fuori. Anche se dubitiamo di molti dei provvedimenti proposti quando non li avversiamo apertamente, preferiremmo avere torto noi ed il governo ragione. Se conseguisse felicemente i risultati che vanta, sarebbe il bengodi. Eppure, a meno che lo scontro all’interno del Pd non sia una sceneggiata tale da risolversi in extremis, pensare che il percorso dell’esecutivo possa continuare costretto ad appoggiarsi su gruppi di deputati fuoriusciti da altri schieramenti, non avrebbe alcuna prospettiva. Abbiamo già visto nelle passate legislature che quando si è prodotto uno scollamento interno alla coalizione di governo, il destino suo era segnato. Questo però mette in risalto un aspetto proprio del decantato sistema politico maggioritario. Per avere una stabilità di governo mancata negli anni si ritenne necessario liberarsi dei piccoli partiti. Erano questi insignificanti cespugli, che con i loro pochi voti mettevano a rischio le meravigliose sorti progressive dei governi della Repubblica. Evidentemente abbiamo vissuto un’altra storia perché non ricordiamo una crisi di governo che non partisse dai contrasti interni alla Dc e dalle scelte operate da quel partito. È accaduto infatti in diverse occasioni che il Pri lasciasse i governi ed i democristiani ed altri alleati andassero avanti. Anche quando il partito socialista, che non era un piccolo partito, aperse la crisi del governo De Mita, giocava di sponda con i nuovi equilibri interni alla democrazia cristiana. Le crisi del sistema maggioritario sono dipese dalle stesse dinamiche. Non è stata Rifondazione comunista a far cadere Prodi nel 1999, è stata la determinazione del segretario del partito di maggioranza relativa di subentrargli. La seconda crisi del governo Prodi potrà pure essere spiegata nelle aule di giustizia con la compravendita dei deputati, la nostra valutazione resta che la nascita del Pd superava la vecchia coalizione che aveva vinto le elezioni di uno 0, qualcosa. Il successivo governo Berlusconi era retto da soli due partiti ed è imploso proprio il partito unico del centrodestra, la Lega ha sostenuto l’esecutivo fino alla fine. Se il governo Renzi cadrà non è perché Berlusconi ha fatto saltare il patto del Nazareno o perché lo Ncd teme di sparire, ma semplicemente perché una parte consistente del partito di maggioranza non si riconosce nel suo leader, anzi non ne può proprio più a costo di preferire tornare all’opposizione. Non vogliamo nemmeno discutere della legge elettorale che il governo ha riscritto ignorando completamente i rilievi di costituzionalità, creando un disaccordo anche su quella. Rimanga solo a futura memoria la nostra testimonianza di un errore drammatico posto alla base del sistema, di cui ancora non si vuole prendere atto. Se c’è qualcosa da cambiare in questo paese è il pregiudizio sull’autosufficienza dei grandi partiti che si rivelano più vuoti e più miseri di quelli che pure hanno fatto, nonostante le loro proporzioni, grande questo paese che stranamente sta diventando più piccolo.

Roma, 16 settembre 2015